Storia

1980: ha inizio la nostra piccola storia

La nuova generazione di Taverna 58, ma la stessa pasta di sempre

Dal 2020 Gabriele Di Leandro passa alla guida dell’ormai noto ristorante Taverna 58, lo fa con lo spirito giusto portando avanti il lavoro che per oltre 40 anni Giovanni Marrone ha svolto con dedizione ed orgoglio, pur mantenendo tutte le tradizioni del passato, porta con se una ventata di aria fresca e rinvigorita passione.

Corso Manthonè nel 1980 era ancora una delle zone un po’ fuori mano di Pescara, della città vecchia, un po’ malfamata, così lontana dalle folle, dalle luci e dagli sfarzi di Corso Umbertoe Piazza Salotto.

“Negli anni ‘80 Taverna 58 era anche bar, e molto di moda, talmente affollato da decidere di chiudere la mescita alle ventidue e trenta, poiché la mattina si riapriva alle otto in punto. Uno dei tanti clienti non contento della chiusura precoce mi punta addosso una pistola e mi chiede da bere. Io che faccio? Gli servo da bere! Ma da allora ho rinunciato per sempre ad avere la licenza da bar”.




“Questo popolo di santi, di poeti,
di navigatori, di nipoti, di cognati ….”

Ennio Flaiano

I ricordi di Tomassino il barbiere

Voi forse non mi crederete, ma io ero sempre contento. In giro c’era un’aria allegra. Oddio, mica sempre, però…mi pare sicuramente più di adesso. Il sabato pomeriggio, dopo il premilitare, che era obbligatorio, suonava la Banda di Spoltore (era la 129° Legione fascista), e Corso Manthonè diventava tutta una festa. Ma ora che ci penso, la musica c’era sempre. Me n’ero quasi scordato, ma in giro era pieno di pianini a manovella con “traini” tirati a mano da un asinello. Di tutti i suonatori me ne ricordo uno soprattutto. Era un certo Tommaso Grimaldi che diceva sempre: “sono di Caiovano, provincia di Salerno”, e poi c’era Giustinella, una donna così secca, ma tanto secca che mi faceva quasi impressione, e c’era anche la signora Maria che però non aveva l’asino e tirava a mano.
A via delle Caserme ci abitavano due bellissime donne.

Una la chiamavano “la pennese” (era di Penne), l’altra “la curvenese” (era di Collecorvino). Me le rivedo davanti come se fosse adesso quant’erano belle. La pennese aveva una cicatrice sulla faccia, dal’orecchio alla bocca (“frechete”), ma non l’imbruttiva, anzi… Quasi dirimpetto a casa loro c’era la Cianchina, detta anche “lu baìt”. Era un casino nascosto e “fora mano”. Verso la ferrovia ce n’erano altri due. Tutti ‘sti casini non erano troppi, anzi, mancavano… Figurarsi che il sabato e la domenica c’era la fila, e che fila! In uno dei due vicino alla ferrovia facevano perfino il servizio doppio. Al primo piano si pagavano sei lire, al secondo quindici. In quello più caro, ogni tanto (ci andavamo quando si poteva), mentre stavamo nella sala d’aspetto, improvvisamente si chiudevano le porte. Lo facevano per non farci vedere l’arrivo di qualche persona importante. Allora noi strillavamo: “essè ha arrevate, oddìe coma sta ‘nfrusciate”! E la badessa si arrabbiava: “silenzio, cornutacci!” Mah! roba di altri tempi…
Poi, all’inizio del 1940, improvvisamente un giorno chiusero tutti. Era arrivata anche da noi la guerra e Pescara era sfollata. E che guerra! che bombardamenti! e che paura! Passarono lunghi anni di fame. Poi, finalmente tutto finì. Pescara si riempì di neri e

UN’INDICAZIONE SICURA
Dopo la chiusura di quella ufficiale nel 1958, a seguito della famigerata legge Merlin, una “casa” si affacciava su Corso Manthonè, con tutte le sue prosperose ragazze, ed era talmente famosa in tutto l’Abruzzo che veniva menzionata da Giovanni Marrone come punto di riferimento per spiegare come trovare la Taverna 58.

Lo staff della Taverna 58 è rodato da tempo immemorabile. Due componenti collaborano con Giovanni Marrone quasi dall’inizio della sua avventura: sono lo chef Giuseppe Marro (dal 23 gennaio’ 85) e Domenico Di Stefano(dal 11 febbraio’ 85) in cucina.

“Passiamo più tempo tra noi che in famiglia. E proprio questo affiatamento è uno dei punti di forza del locale. Il segreto per mantenere insieme questa équipe di lavoro? Sono andato incontro alle loro esigenze, cercando di smussare gli spigoli creati dall’antisocialità (sembra incredibile…) di questo mestiere. E’ il motivo per cui il locale chiude il sabato a pranzo e la domenica, ad agosto, a Natale e a Capodanno. Così somiglia quasi a un lavoro normale.”

Giovanni Marrone